Scritto da: admin 26 Aprile 2017 categorie: Senza categoria Memorie antiche Erboristeria Tradizionale tradizione Altri articoli

NONO RAGIONAMENTO

LO STATO MORBOSO
SECONDO
LA FITOTERAPIA TRADIZIONALE ERBORISTICA

CONSIDERAZIONI E DIVAGAZIONI PRELIMINARI

Sulle generali possiamo parlare di due stati certi riguardo al senso della vita e di morte nel quale lo stato morboso non vi rientra poiché esso continuamente muta ed evolve, quindi passibile di risoluzione, di cronicizzazione e può condurre allo stato certo che è la morte. Può condurre alla morte ma non è la morte, perciò non considerabile come vita né tanto meno come morte, ma come fatto accidentale che sta alla vita, come la vita non sta alla morte ma ad un complesso di funzioni biologiche che resistono alla morte.
Dunque la vita in sé e di per sé è una condizione singolare e caratteristica rappresentata e sostenuta da un insieme di processi biologici che le consentono di alimentarsi, crescere, automantenersi e di riprodursi. Affinché questi processi abbiano possibilità di procedere secondo occorrenza, devono avvenire all’interno di determinate costanti fisiologiche, onde resistere alla morte. In pratica si ammette che la morte si ha quando queste vengono meno fino alla loro cessazione dell’organismo; in particolare le tre grandi funzioni quali la cerebrale, la cardiocircolatoria e la respiratoria. Mai drasticamente (salvo nell’infarto e altre condizioni traumatiche), ma gradatamente venendo sostituite da altri fenomeni quali i precadaverici. Le condizioni di vita sono dunque indissolubilmente legate all’incessante sforzo da parte dell’organismo di resistere alle forze che tendono ad annullarne il naturale scorrimento.
Quand’è dunque che inizia questo andare incontro alla morte? come e evolve e come si conclude? E’ difficile dare una risposta esaustiva al quesito al di fuori del significato di normalità per anatomi sistemi ma come accidentalità che non rientra nella normalità (dal latino norma che nella sua eccezione significa regola o legge)

LO STATO MORBOSO
La condizione ottimale di vita di ogni essere vivente è riconosciuta nella sua capacità di conservare la propria salute: ossia di garantire il pieno benessere psicofisico.
Per salute si intende quindi qualcosa che va ben oltre il concetto di assenza di sintomi, ma definibile come sviluppo armonico della personalità del singolo individuo nei confronti delle processualità biologiche.
Tuttavia, se tale definizione generale può apparire accettabile, poco ci dice su di un piano delle processualità biologiche, per cui è opportuno precisarne i contenuti..
Tutto ha inizio nel definire la natura umana quale sistema vivente che si compie all’interno di particolari strutture, le cellule, a mezzo di appositi componenti separate tra loro da membrane semipermeabili, dove ogni componente è correlato ad un numero imprecisato di altri componenti in costante e reciproco rapporto subordinato da numerose variabili quali quelle che possono verificarsi in seno agli scambi con il mezzo ambiente interno (vedi stato eucrasico), da cui traggono materia ed energia.
Come è ben noto, tutti i fenomeni biologici che caratterizzano la sostanza vivente sono soggetti a condizioni di variabilità processuali che di volta in volta si conformano alle necessità dell’organismo, per cui appare evidente che la processualità di ogni variabile non può identificarsi con valori statisticamente stabiliti per ogni singola categoria di cellule, la cui critica può essere rappresentata dal fatto di riconoscere per normale solo ciò che rientra nei limiti prestabiliti, pecca (a mio personale giudizio), di artificiosità..
La capacità di modulare le proprie variabilità processuali a fronte di esigenze diverse, costituisce l’adattamento (vedi apposito capitolo)), tanto da rappresentare uno dei fondamentali requisiti che permette alla sostanza vivente di mantenere stazionari (non fissi) determinati valori omeostatici nonostante l’incidenza di fattori etiopatologici che ne potrebbero perturbare l’ordinato svolgersi. Stazionarietà modulante le cui possibilità non sono illimitate; oltre certi limiti l’organismo non può aumentare tale peculiarità che tende a mantenersi all’interno di minima , media e massima performance che oscilla incessantemente intorno a valori di soglia biologicamente stabiliti oltre i quali (secondo l’erboristica), la maggior parte degli stati morbosi nascenti trarrebbero la loro origine. Ipotesi che propende sull’esistenza di momenti sfasamento funzionale elementare a priori dei servomeccanismi biologici (anche se la definizione di elementari è ben lontana dall’essere semplice).

In tempi non recenti le varie patologie di cui soffre l’homo sapiens sono state considerate accidentali, ritenendo implicita la presenza di una contrapposizione tra salute e malattia, poiché risulta che un individuo perfettamente sano è un caso limite mai raggiunto. Ogni organismo è sempre, in qualche misura, ammalato, e ciò che è chiamiamo salute in realtà è una definizione che viene applicata tutte le volte che le incidenze patognomiche, di norma non superano qualitativamente e quantitativamente certi valori limite ontologicamente fissati.

Quindi, in linea di principio, possiamo presumere che ogni interpretazione, sui fatti sopra descritti, se guidata dalle sole alterazioni per anatomie indagati, rischia di non cogliere una incrinatura nella stazionarietà dei valori omeostatici su cui poggia la salute dell’organismo.
Sulla base di queste supposizioni è possibile accettare il concetto di movente patognomico a priori, ovvero sostenere l’idea che possa avere origine da una sfasamento primario a carico di un valore omeostatico interno, ideale o desiderato, potrebbe costituire il motivo di fondo di una fisiopatologia a posteriori.
L’assenza della percezione dei sintomi è una condizione permanente oppure transitoria? Ammettere la possibilità di uno stato morboso nascente i cui momenti etiologici possono essere non percepibili in termini sintomatici, permette teorizzare stati morbosi a carico di determinati sostrati organici. riconducibili ad una etiologia a priori imputabile ad oscillazioni del sistemi omeostatico generale: quindi asintomatica. Ed è proprio dei sistemi assoggettati ai sistemi omeostatici offrire la possibilità di aversi eventi definibili come stati morbosi silenti, penso non si tratti di una vischiosità concettuale, di lana caprina.

Sulla scorta di quanto fin qui descritto ogni nascente stato morboso, in generale, costituisce fenomeno limitato nel tempo che tende ad essere riassorbito spontaneamente, ma può anche evolvere fino a costituire patologie più o meno complesse con tutto il corollario che le contraddistingue. Corollario che ha una propria storia naturale chiamata decorso che può assumere caratteri diversi nel quale è possibile distinguere, una fase etiologica di incubazione, una fase iniziale silente, una fase successiva sintomatica cronica o reversibile
Nello specifico ogni stato morboso passa da livelli inferiori di organizzazione asintomatica a quello superiore sintomatico per cui si hanno, nel vivente, consequenzialità di iter a cascata a tutti i livelli di organizzazione biologica; dalla più elementare alla più complessa.

Simone Iozzi

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